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È possibile fare co-progettazione insieme a voi?

È possibile fare co-progettazione insieme a voi?

Certamente! Puoi studiare insieme a noi il progetto che meglio si sposa con la tua filosofia aziendale e che sia in linea con gli obiettivi fondamentali del nostro percorso complessivo.

Non si tratta solo di un gesto umanitario, ma di un riconoscimento nei confronti del ruolo che l’Africa rivestirà nei prossimi decenni a livello globale. Sostenere i nostri progetti significa dare vita ad un’iniziativa filantropica di lungo termine, iniziando un viaggio insieme ad Alice for Children.

Accompagnarci attraverso le varie tappe potrà diventare una storia di successo per la tua azienda, da raccontare attraverso pochi e semplici passi che abbiamo studiato appositamente per realtà come la tua.

Il concetto di fondo è molto semplice: sostenere i nostri progetti significa intraprendere un viaggio insieme ad Alice for Children, attraverso il mondo della solidarietà e della cooperazione allo sviluppo.

Questo viaggio prevede sei tappe, che passo dopo passo ti condurranno lungo un percorso di beneficenza e solidarietà di cui la tua azienda sarà protagonista.

1. Definire il viaggio

Il punto di partenza sarà la scelta del tipo di percorso: come si vuole viaggiare? Con quali mezzi?

È essenziale partire dalla definizione dell’obiettivo a cui tendere per perseguire l’economia sociale. L’azienda che intende iniziare questo tipo di percorso deve quindi innanzitutto fare scelte funzionali al contesto in cui opera, alle sue dimensioni, al suo percorso individuale e al mercato di riferimento.

Fatte queste valutazioni, occorre decidere quale sarà il mezzo da utilizzare, ovvero in che modo verrà percorsa la strada della filantropia.

In questo caso l’azienda si trova di fronte a un bivio: potrà scegliere di attaccare “un’appendice sociale” alla sua struttura – come potrebbe essere il lancio di una campagna benefica attraverso la creazione di una fondazione o facendo affidamento ad una società di strategia filantropica – oppure di dedicare una percentuale dei propri profitti per avere un impatto positivo sulla comunità e dando priorità a tali interessi collettivi.

2. Scegliere la meta

Il secondo fondamentale passo da compiere è la scelta della meta: dove si vuole arrivare? Quale sarà l’area di intervento? Quali sono i risultati attesi?

Per massimizzare l’efficacia del progetto che l’impresa intraprende, è necessario stabilire un collegamento con il tessuto sociale in cui essa agisce e si muove. 

Facciamo un esempio: per una società che opera nella farmacologia, sarà naturale indirizzare i propri sforzi nel senso della ricerca medica, effettuare donazioni ad organizzazioni che si occupano di lotta a malattie specifiche o, ancora, supportare in maniera strutturata un determinato reparto ospedaliero. 

Oppure allargare il proprio orizzonte a progetti anche in terre lontane. 

Comunque sia, è fondamentale scegliere il dove e il chi in modo consono all’immagine e al posizionamento dell’azienda stessa. 

È chiaro che – se agirà in maniera intelligente – l’impresa, perseguendo i propri obiettivi di mercato, potrà “restituire” una piccola parte dei guadagni alla comunità, prendendosi cura delle esigenze che essa esprime. 

3. Trovare i compagni di viaggio

La scelta del tipo di viaggio da intraprendere influirà necessariamente anche sulla selezione dei vari soggetti con i quali condividerlo.

La scelta del partner non è un passaggio per nulla scontato né banale: sarà quindi necessario studiare il mercato, comprenderne la composizione, le tendenze e i ruoli per potersi affidare a soggetti virtuosi – siano essi ONG, ONLUS, ETS, strutture pubbliche o consulenti – che condividono la medesima

filosofia aziendale e possono rendere il viaggio una storia di successo per entrambe le parti.

Indipendentemente dalla realtà che l’azienda selezionerà come partner per la realizzazione di un progetto, è importante che esso sia strutturale e abbia quindi una continuità nel tempo, permettendo così di lasciare un’impronta concreta e dando vita ad una storia che potrà essere ricordata.

4. Raccontare la storia

Come ogni esperienza di viaggio che valga la pena di essere raccontata, anche in questo caso sarà essenziale tenere un “diario di bordo”: l’azienda protagonista dell’iniziativa avrà il dovere di raccontare il percorso, di documentare il lavoro svolto e gli sviluppi, offrire dati e informazioni, fornire elementi concreti per massimizzare la comprensione del processo.

Questo passaggio sarà essenziale per aiutare gli osservatori a misurare l’impatto sociale dell’operato aziendale e, allo stesso tempo, donare trasparenza all’intera operazione.

Come raccontare il viaggio? I mezzi disponibili sono tanti e diversi: web, social media, editoria, libri, advertising.

Questa importante fase risulta peraltro semplificata, in quanto Alice for Children si occupa di fornire ai partner che sostengono i progetti tutto il materiale foto e video necessario, supporto nella definizione della strategia comunicativa, nonché aggiornamenti periodici sull’avanzamento e lo sviluppo dei progetti.

Bisogna però prestare molta attenzione ad un aspetto cruciale: rendere noto il percorso che si sta svolgendo non significa ragionare in termini di campagne di comunicazione, dunque pensando – per esempio – al numero di persone da raggiungere, al target di riferimento o al quantitativo di spot da lanciare.

Al contrario, la storia e il suo racconto si costruiranno da soli, in maniera autentica, senza una precisa impalcatura o strumentazione. L’essenza della storia dovrà essere il fulcro e il resto verrà di conseguenza.

In poche parole: non una comunicazione che diventa storia, ma una storia che diventi comunicazione!

5. Socializzare la storia

La storia di un viaggio, per essere conosciuta, necessita di essere condivisa, diffusa, raccontata, socializzata.

Ecco che allora per l’azienda diventa indispensabile riunire intorno a sé una comunità di persone, enti, organizzazioni che possano contribuire allo sviluppo del racconto, contribuendo anche con la propria autorevolezza a dare voce ad una storia che merita di essere conosciuta.

Questo passaggio – che nel linguaggio burocratese del CSR chiamiamo “coinvolgimento degli stakeholder” – altro non è che l’allargamento della base su cui poggia il racconto del viaggio. Condividere dati e aggiornamenti sull’avanzamento dei progetti intrapresi con i soci, le banche, le istituzioni, i dipendenti e gli enti vicini all’impresa sarà un passaggio cruciale nella strada che la storia potrà fare.

Produrre un bilancio sociale di centinaia di pagine nel quale sono indicate tutte le certificazioni di rito è certamente utile, ma non sufficiente: le conformità burocratica e amministrativa non serve a nulla, se non si possiede una bella esperienza da condividere e di cui rendere partecipi anche gli altri soggetti.

La creazione di una comunità attorno all’azienda per dare risonanza alle storie di beneficenza è fondamentale anche per un altro motivo. Il fatto che un’impresa decida di reinvestire una fetta dei profitti nel sociale per compensare i danni arrecati all’ambiente o alla comunità umana di riferimento è probabilmente l’atto più incisivo e duraturo che essa possa compiere.

Valorizzando l’operato nel sociale, sarà possibile consolidare e rendere duraturo l’elemento che forse più di tutti rappresenterà la vera e propria eredità aziendale: l’asset del ricordo. Una volta che il ciclo dell’impresa sarà calato o del tutto esaurito, ciò che potrà rimanere come testimonianza del passaggio sulla Terra di questa realtà sarà proprio il ricordo di una bella storia di beneficenza e di reale impatto sociale, che a sua volta potrà fungere da ispirazione per altre aziende.

Ancor più degli utili economici e delle ricchezze prodotte, è proprio il ricordo la reale impronta che un’azienda potrà lasciare nel futuro.

6. Controllare la storia

L’ultimo aspetto – per ordine, ma non per importanza – da considerare è il controllo. Da esercitare sia sull’attività di beneficenza stessa, che sul suo racconto.

Tornando alla nostra storia, quindi, è necessario che i contenuti siano accertabili. Occorrono dei valori di partenza e un continuo ossessivo controllo per accertarsi che si raggiungano i risultati desiderati.

I fatti raccontati nella storia di beneficenza devono essere, oltre che – ovviamente – veri, anche verificabili. Risulta quindi cruciale stabilire a monte dei parametri e delle aspettative, così da avere un riferimento per capire se il risultato sia stato raggiunto o meno.

I programmi di Alice for Children hanno esattamente questa caratteristica: in fase di progettazione, vengono stabiliti degli obiettivi qualitativi e quantitativi da raggiungere, che durante lo sviluppo vengono poi monitorati e verificati. Ciò permette di seguire passo per passo le fasi dei vari progetti e di misurare con maggior efficacia e chiarezza le ricadute sociali positive delle azioni intraprese.

Se l’impatto sociale è misurabile e riscontrabile e se ne possono raccontare i progressi nel tempo attraverso dati chiari e trasparenti, allora quella storia avrà un corpo, una concretezza che non solo varrà la pena raccontare, ma che potrà lasciare un ricordo nel futuro.

UNO STRAORDINARIO ESEMPIO DI BEST PRACTICE: PATAGONIA

Patagonia è una società a capitale privato con sede a Ventura, California, che progetta, sviluppa e commercia abbigliamento e attrezzature per una vasta gamma di sport outdoor, da viaggio o per il tempo libero, ed è soprattutto nota per il design innovativo, i prodotti di qualità e l’impegno a favore dell’ambiente.

L’azienda è stata fondata nel 1972 da Yvon e Malinda Chouinard, appassionati alpinisti che iniziarono a porsi il problema dei danni ecologici legati all’arrampicata. Facendo riflettere il principio del rispetto per l’ambiente nel business, i due danno origine al marchio Patagonia, che richiama l’idea di una terra incontaminata, di grandi spazi.

Oggi l’azienda è sinonimo di attenzione per l’ambiente e rappresenta una realtà all’avanguardia sia nell’utilizzo di tessuti organici come il cotone (dal 1996 l’azienda utilizza solo cotone derivante da coltivazioni biologiche) e la lana merino, sia nella ricerca e nella sperimentazione di materiali alternativi. Patagonia è fra le prime aziende a utilizzare il pile e successivamente brevetta il capilene, una fibra artificiale completamente riciclabile.

Nel 1989, insieme ad altri tre partner statunitensi di abbigliamento outdoor (The North Face, Kelty, REI), Yvon fonda The Conservation Alliance, fondazione che conta oggi più di un centinaio di membri attivi nella raccolta di fondi destinati alla difesa della biodiversità e del patrimonio naturale del continente nordamericano.

Nel 2001 fonda, insieme a Craig Mathews (titolare di Blue Ribbon Files), l’associazione 1% For the Planet, che raccoglie aziende impegnate a donare annualmente l’1% delle loro vendite a realtà ambientaliste. Nel 2005 parte il “Common Threads Recycling Program”, programma che consente di riciclare i capi usati Patagonia in pile, in capilene, in cotone organico e i pile Polatrec di altri marchi portandoli nei punti vendita o ai rivenditori specializzati. È l’inizio di un circolo virtuoso del riciclo promosso da Patagonia.

Nel 2008 Patagonia lancia il Footprint Chronicles, strumento interattivo che guida il consumatore lungo tutto il percorso della filiera produttiva, dalla materia prima alla distribuzione finale, e permette di individuare distanze, emissioni e impatti legati alla produzione. Sempre nel 2008 Yvon Chouinard annuncia il nuovo progetto: rendere riciclabile tutto l’assortimento Patagonia.

“Non comprare la nostra giacca se non ti serve davvero. E se la compri e si sciupa, noi l’aggiusteremo. E se te ne stanchi, ti aiuteremo a trovarle un’altra casa o a venderla. E quando sarà distrutta potrai restituircela e noi la ricicleremo completamente per fabbricare nuovi indumenti. Ci assumeremo la responsabilità totale dei nostri prodotti, da culla a culla”.

La mission di Patagonia è: “realizzare il prodotto migliore, non causare danni inutili, utilizzare il business per ispirare e implementare soluzioni per la crisi ambientale”. In

quest’ottica, ad oggi Patagonia ha devoluto circa 40 milioni di dollari in borse di studio, sovvenzioni e donazioni in natura a organizzazioni e gruppi ambientalisti.

L’attenzione particolare per la filiera produttiva e le aziende che fanno parte della catena di fornitura ha portato Patagonia a prevedere per il proprio staff una formazione continua sulle questioni di responsabilità sociale. In questo senso, nel 2007 l’azienda ha affidato a Verité, organizzazione non-profit internazionale di verifica, la formazione e lo sviluppo delle competenze, l’organizzazione di un percorso formativo per i 75 dipendenti che visitano le fabbriche delle aziende fornitrici allo scopo di comprendere tutti i risvolti del Codice di Condotta nel posto di lavoro. Sempre per valorizzare ulteriormente l’approccio sostenibile, nel 2010 la posizione di manager per la responsabilità sociale è stata elevata a quella di direttore per la responsabilità socio-ambientale. Il team SER (Social/Environmental Responsibility) di Patagonia ha la facoltà di opporsi all’impiego di una nuova fabbrica che non corrisponda a specifici requisiti (come del resto il team addetto alla qualità). Il personale partecipa a sessioni di formazione dedicate a pratiche responsabili per ridurre al minimo l’impatto negativo delle attività aziendali sui lavoratori degli stabilimenti e sull’ambiente.

Nell’agosto del 2022, la famiglia Chouinard ha donato il 98% di Patagonia, del valore stimato di tre miliardi di dollari, alla neonata organizzazione no profit Holdfast Collective. Essa avrà come obiettivo sostenere le associazioni che si occupano della salvaguardia del pianeta, utilizzando i circa 100 milioni annui di dividendi.

Il restante 2% è stato conferito ad un trust, il Patagonia Purpose Trust, guidato dalla famiglia Chouinard, che si assicurerà che l’azienda continui a prendersi cura dei suoi dipendenti e distribuisca i dividendi. Come Yvon Chouinard stesso ha dichiarato, ciò che faranno sarà “dare la massima quantità di denaro a chi davvero si dà da fare per salvare il pianeta”.

Molto più che per la qualità dei suoi prodotti, Patagonia verrà ricordata nel tempo proprio per queste iniziative filantropiche, che sono diventate parte integrante della filosofia aziendale.

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