Fresca di pubblicazione l’analisi di Primavera dell’ASviS, realizzata in collaborazione con Oxford Economics e intitolata “Il falso dilemma tra competitività e sostenibilità”. Che sottolinea un concetto: la sostenibilità non raffredda lo sviluppo, anzi. Le cose andrebbero meglio per l’economia del Paese se si decidesse di accelerare la transizione ecologica. Questo ed altro emerge da uno studio che traccia 4 scenari in ottica 2035 e 2050, uno più ‘coraggioso ‘e gli altri tre più conservativi. I numeri, in sintesi, nell’ipotesi migliore?
La sostenibilità rende
Un Pil più alto dell’1,1% nel 2035 e dell’8,4% nel 2050, rispetto allo scenario base, con dinamiche positive per l’industria, l’agricoltura e i servizi, disoccupazione più bassa, riduzione del debito pubblico, nonostante l’aumento degli investimenti. Queste le performance raggiungibili se a prevalere fosse Net Zero Transformation.
“È a questo scenario virtuoso che dobbiamo guardare, rispetto agli altri tre analizzati (Net Zero, Transizione Tardiva, Catastrofe Climatica)” ha sottolineato Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’ASviS.
Trumpismo sullo sfondo
Dati e analisi che rinfrancano chi si è depresso dopo le decisioni dell’amministrazione Usa nell’era di Donald Trump. Il rapporto contiene, tra i vari approfondimenti, anche un contributo di Paolo Magri sul tema. Che scrive: “I primi cento giorni del secondo mandato Trump non offrono molte ragioni per dirsi fiduciosi. Ma nemmeno giustificano la rassegnazione. È necessario che l’Europa interpreti con attenzione i segnali provenienti da Washington, elaborando strategie precise e coerenti per evitare di subire passivamente l’agenda trumpiana”. Secondo Magri, “reagire non è solo una necessità, ma forse l’unica possibilità per non smarrirsi in un contesto globale sempre più complesso e incerto”.
ASviS, vale la pena ricordarlo, è l’acronimo di Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile. Un network nato quasi dieci anni fa con l’obiettivo di promuovere la cultura della sostenibilità in Italia. Riunisce oltre 300 organizzazioni impegnate nell’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dei suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs).
Economista dalla lunga e prestigiosa carriera accademica e istituzionale, già ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile nel governo Draghi (2021-2022) e Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali nel governo Letta (2013-2014), avendo ricoperto il ruolo di Presidente dell’ISTAT e Chief Statistician dell’OCSE, Giovannini ha spiegato: “Dobbiamo accelerare la transizione, non rallentarla e sostenerla con investimenti innovativi a tutto campo, perché questo produrrebbe risultati positivi per tutti i settori sia al 2035, sia al 2050, con l’ovvia eccezione dell’estrazione e della produzione di combustibili fossili”.
Rispetto allo scenario di base, il valore aggiunto della manifattura resterebbe invariato nel 2035, ma crescerebbe del 9,3% nel 2050; quello dei servizi aumenterebbe dello 0,5% nel 2035 e del 5,9% nel 2050; quello delle costruzioni del 6,9% e del 18,2%; quello dell’agricoltura resterebbe stabile nel 2035, ma crescerebbe del 7,1% nel 2050; quello delle utilities del 13,9% nel 2035 e del 52,6% nel 2050 (con la ricomposizione a favore della generazione e distribuzione di energia elettrica da rinnovabili).
Conviene fare i buoni
Le analisi contenute nel Rapporto, indicano chiaramente che la sostenibilità conviene, anche sul piano economico. E che la scelta per la decarbonizzazione e per l’economia circolare offre al nostro Paese una serie di opportunità: una maggiore autonomia e costi più bassi dell’energia; una più elevata competitività (indispensabile anche per reagire ai dazi e alle guerre commerciali), una maggiore redditività e solidità finanziaria delle imprese; un maggiore sviluppo ed equità sociale; un miglioramento della condizione della finanza pubblica.
La contrapposizione tra sostenibilità e competitività è dunque frutto più di narrazioni faziose che dell’effettivo stato delle cose: le aziende italiane che hanno scelto di investire sulla transizione ecologica e digitale hanno aumentato la produttività, migliorato le condizioni finanziarie, ridotto il costo dei nuovi investimenti.

Guardare all’Africa
Le condizioni per accelerare il cammino nella direzione dell’Agenda 2030 ci sono ancora, soprattutto se l’Unione europea deciderà di rafforzare l’integrazione politica ed economica, migliorare la propria governance, ponendosi in grado di attirare capitali finanziari e capitale umano alla ricerca di stabilità e valorizzazione, assumere il ruolo di baricentro globale nelle istituzioni multilaterali, guardando con equilibrio anche al Sud del mondo (in particolare all’Africa).