Pace trumpiana a Washington. Nello studio ovale della Casa Bianca, sotto lo sguardo benevolo del presidente Donald Trump, di J.D. Vance e Marco Rubio, il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo hanno firmato un accordo di pace.
I rappresentanti dei due stati africani finalizzavano così un complesso lavoro di mediazione condotto oltre che dagli Stati Uniti, anche da Qatar e Unione Africana.
Pace e affari
Tra gli obiettivi dell’intesa, quello di porre fine ai sanguinosi scontri nella regione orientale del Congo, dove il gruppo ribelle M23 — legato all’etnia tutsi e considerato vicino al Ruanda — ha conquistato ampie aree, inclusa la città di Goma e, più a sud, Bukavu. E iniziare piuttosto, con gli Usa in primo piano, una nuova fase di sviluppo economico dell’area, ricca di minerali rari e preziosi. Gli Usa vogliono in questa maniera cominciare ad equilibrare, su questo terreno, il consolidato attivismo e posizionamento cinese nel continente.
Nell’accordo tra i due Paesi, il Ruanda si è impegnato a ritirare qualunque forma di sostegno diretto o indiretto alle milizie attive nella zona. Il Ruanda ha negato un coinvolgimento diretto, ma ha altresì richiesto lo smantellamento delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato hutu implicato nel genocidio del 1994.
Nobel a The Donald?
Trump – che ha ottenuto diritti minerari dal Congo – ha sottolineato il valore storico di un’intesa che potrebbe chiudere un’era ventennale di scontri e violenze, e il presidente congolese, Félix Tshisekedi, l’ha perfino candidato al Nobel per la Pace.
Nonostante l’accordo di pace firmato a Washington, sul terreno non si sono ancora visti segnali concreti di disimpegno da parte dell’M23 o delle forze ruandesi che li sostengono.
Il Trattato di Washington firmato il 27 giugno 2025 tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo, in sintesi, prevede questi punti: cessazione delle ostilità e rispetto dell’integrità territoriale; ritiro delle truppe dai territori occupati e fine del sostegno ai gruppi armati, come le FDLR; ritorno sicuro di rifugiati e sfollati; creazione di un meccanismo congiunto di sicurezza per monitorare l’attuazione dell’accordo; l’avvio di progetti economici e infrastrutturali con il coinvolgimento strategico degli Stati Uniti, soprattutto nei settori minerario ed energetico.
Intanto a Goma
L’accordo – come detto – non menziona esplicitamente il gruppo ribelle M23, che ha avuto un ruolo centrale nel recente conflitto ed è attualmente coinvolto in un processo di pace separato a Doha.
Nonostante l’entusiasmo diplomatico, a vari livelli permangono dubbi sull’efficacia dell’intesa e da più parti si segnala la vaghezza del testo.
La settimana scorsa un responsabile delle Nazioni Unite in ricognizione nella zona di Goma e del Lago Kivu ha chiesto maggiore sostegno internazionale per gli sfollati, segnalando una situazione di emergenza di livello massimo, con migliaia di persone che hanno bisogno di medicine, cibo e protezione. Oltre 4 milioni di persone sono state sfollate, tra cui centinaia di migliaia di persone fuggite dalle proprie case quest’anno.