Il Kenya si prepara a quella che le autorità locali presentano come una svolta. Entro il 2026, le principali agenzie delle Nazioni Unite, tra cui l’UNICEF, l’UNFPA e l’UN Women, potrebbero trasferire le loro sedi centrali dalle città occidentali ad alto costo a Nairobi, nell’ambito del programma di riforma pensato per decentralizzare le operazioni in regioni più convenienti.
Una svolta per Nairobi
Per Nairobi, una metropoli vivace di 3,8 milioni di persone, l’ambizione è quella di divenire uno dei quattro hub geografici globali delle Nazioni Unite, insieme a New York, Ginevra e Vienna.
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA) ha già approvato due progetti di costruzione presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Nairobi (UNON) per un importo di quasi 340 milioni di dollari, il più grande investimento che il Segretariato delle Nazioni Unite abbia mai intrapreso in Africa dalla sua istituzione. Questi miglioramenti potrebbero potenzialmente consentire a Nairobi di ospitare le riunioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La capitale keniota è da tempo una sede importante. Dal 1972, il numero di dipendenti ONU ospitati è aumentato da 300 a 6.500 unità, con circa 11.000 abitanti conteggiati tra familiari e persone a carico. Attualmente ci sono 83 uffici delle Nazioni Unite, la maggior parte dei quali si trova a Gigiri. L’implementazione del ruolo di Nairobi?
Il Kenya può vantare la sua strategica posizione a cavallo tra le regioni del Corno d’Africa, dell’Africa orientale e centrale. Tra le caratteristiche vincenti di Nairobi, l’infrastruttura di base per funzionare come polo logistico e finanziario. Il tutto fornendo servizi di qualità premium considerati gli standard africani a costi ancora molto, molto convenienti.
Kenya come snodo ONU
L’idea è quella di riposizionare la capitale keniota come uno snodo del multilateralismo geopolitico con una naturale vocazione alla salvaguardia ambientale e alla sostenibilità.
La stampa keniota raccoglie però anche qualche preoccupazione generalizzata della società civile e del mondo delle imprese sugli esiti possibili di questa trasformazione.
Che per alcuni osservatori accreditati farebbe nascere nuovi quartieri per ricchi occidentali senza ridimensionare la crescente espansione delle baraccopoli e pochi vantaggi garantendo ai poveri e ai meno abbienti. Che potrebbe alzare l’asticella dei costi – per case e altri prodotti – ed essere un aspetto peggiorativo della qualità della vita perfino per la già esigua e sofferente piccola borghesia locale. Gli aumenti di prezzo che sono previsti rischiano per essere esiziali in un contesto in cui gli affitti pesano già per cifre intorno al 50% del reddito della classe media.
Per stipendi mensili medi che si aggirano tra i 590 e i 640 dollari per la maggior parte dei kenioti, con l’afflusso di circa 2.000 dipendenti internazionali ben pagati entro la fine del 2026, con guadagni notevolmente superiori, la percentuale di popolazione che vive in insediamenti informali potrebbe così alla fine in realtà crescere e superare l’attuale 60%, secondo le stime più pessimistiche. Le distanze ricchi e poveri approfondirsi.
Tra contraddizioni e contrasti
Nelle estese baraccopoli di Nairobi, l’accesso all’elettricità – spesso illegale – secondo il Kenya National Bureau of Statistics (KNBS) raggiunge solo il 23 percento delle famiglie.
Al Jazeera prevede che cambieranno pelle e costi di accesso i quartieri considerati già come quelli più esclusivi di Nairobi: ad esempio Runda, Muthaiga e Kitisuru. Ma anche a Westlands, Kilimani, Upper Hill e Ruaka. Ricchi di verde, questi quartieri sono recintati e presidiati da polizia privata. E’ in queste zone che andranno a vivere i nuovi residenti con passaporto internazionale, alimentando la nascita di nuovi palazzi, ristoranti, hotel, scuole private. Il tutto a poca distanza in linea d’aria, oltre i recinti, dalle esuberanti baraccopoli.