Immigrati, regole da ripensare? Economist: meglio ricovero di prossimità

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Immigrati, rifugiati economici e soprattutto politici sono un tema caldo per tutti i governi e gli schieramenti. La cronaca racconta come – anche in Europa e negli schieramenti politici più fair sul tema dell’accoglienza agli immigrati – si comincino a mettere in discussione anche talune regole di principio, umanitarie.

Un buon esempio di questa tendenza che autorizza se non il cinismo degli Stati (anche dei più democratici e di più lunga tradizione civile) un nuovo indirizzo ‘pragmatico’, ma ad un livello più alto però di certi orientamenti demagogici, un buon articolo dell’Economist. Che ritaglia una ricostruzione giustificazionista molto suggestiva e credibile.

Le attuali regole per i rifugiati – dice il lungo e articolato servizio – sono del 1951, racchiuse in una convenzione che, in quel contesto storico, era stata costruita per accogliere i cittadini dell’Urss che scappavano dalla cortina di ferro e dalla Russia staliniana. Nasce in quel contesto e riguarda soprattutto l’Europa quel principio di “non respingimento” che nel 1967, nel pieno dell’ondata garantista della fine degli Anni Sessanta, nel 1967, si decise di adottare anche nel resto del mondo.

Immigrati, statuti e convenzioni da riformare?

La maggior parte dei paesi ha firmato la convenzione, ma non tutti ne osservano i concetti chiave di questi tempi. “La Cina ammette meno rifugiati del piccolo Lesotho e manda a casa i nordcoreani per affrontare il gulag” ricorda l’Economist. “Il presidente Donald Trump – osserva ancora l’articolo – ha posto fine all’asilo in America per quasi tutti tranne i sudafricani bianchi e vuole spendere di più per la deportazione dei migranti irregolari di quanto altri paesi spendano per la difesa”. Perfino i socialdemocratici anti-Trump, in Europa, stanno riconoscendo un senso a posizioni che prima erano soltanto dei partiti di estrema destra.

Secondo Economist i principi progettati per il mondo del Dopoguerra e poi ribaditi negli anni di fulgore idealista dei boomer, non vanno bene in tempi di guerre ad ogni latitudine e longitudine, disparità salariali (se non di condizioni di neo-schiavitù nel lavoro) e, nel contempo, la possibilità di “viaggi a basso costo”.

Il concetto di base è cioè, che non esistono principi umanitari validi in assoluto, ma soltanto condizioni dispensabili agli ospiti che la società si può o non si può permettere di adottare come paradigma in un mondo in cui circa 900 milioni di persone vorrebbero migrare in modo permanente.

La situazione di fatto

“Poiché è quasi impossibile per un cittadino di un paese povero trasferirsi legalmente in uno ricco, molti si trasferiscono senza permesso. Negli ultimi due decenni molti hanno scoperto che l’asilo offre una porta di servizio”. Secondo il settimanale il sistema va rifondato. Anche perché attualmente – causa ricerca del consenso – la maggior parte delle richieste di asilo nell’Unione europea sono respinte a titolo definitivo e la paura del caos al confine ha alimentato l’ascesa del populismo, della Brexit e di Donald Trump e ha avvelenato il dibattito sulla migrazione legale. “Per creare un sistema che offra sicurezza a coloro che ne hanno bisogno, ma anche un flusso ragionevole di migrazione del lavoro, i responsabili politici devono separare l’uno dall’altro” dice saggiamente il giornale.

Sicurezza non può più significare l’accesso ‘facile’ al mercato del lavoro di un paese ricco. La soluzione secondo Economist?

La soluzione in due tempi

“L’approccio più pragmatico sarebbe – in primo luogo – quella di offrire a più rifugiati un asilo vicino casa. In genere, questo significa nel primo paese sicuro o blocco regionale in cui mettono piede. I rifugiati che percorrono distanze più brevi hanno maggiori probabilità un giorno di tornare a casa. Hanno anche maggiori probabilità di essere accolti dai loro ospiti, che tendono ad essere culturalmente vicini a loro e ad essere consapevoli che stanno cercando il primo rifugio disponibile da una calamità. Questo è il motivo per cui gli europei hanno ampiamente accolto gli ucraini, i turchi sono stati generosi con i siriani e i ciadiani con i sudanesi”.

Inoltre, sottolinea il giornale, “prendersi cura dei rifugiati più vicini a casa è spesso molto più economico”. Secondo tema la gestione ordinata e politicamente sostenibile dei flussi. “Gli elettori hanno chiarito che vogliono scegliere chi far entrare, e questo non significa che tutti quelli che si presentano e chiedano asilo. Una volta che diventa chiaro che arrivare senza essere invitati non conferisce alcun vantaggio, i numeri che lo fanno crolleranno”, sostiene il servizio. Si dovrebbe quindi in primo luogo ristabilire l’ordine alla frontiera e quindi creare spazio politico per una discussione più tranquilla sulla migrazione del lavoro. Che è auspicata: “I paesi ricchi trarrebbero beneficio da più cervelli stranieri. Un afflusso ordinato di talenti renderebbe più prosperi sia i paesi ospitanti che i migranti stessi”.