Il ciclismo ed il soft power del Ruanda di Kagame

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Si stanno svolgendo a Kigali, in Ruanda, i Mondiali di ciclismo. Le immagini tranquillizzanti e intriganti di questo Paese stanno attraversando gli oceani raggiungendo i molti miliardi di abitanti del pianeta. Qualcuno osserva che per non turbare la competizione, il sempiterno leader del Ruanda, Paul Kagame, ha perfino abbozzato a più miti considerazioni nella vicenda del decennale confronto con la RDC sui territori del Lago di Kivu, firmando a Washington un patto con il presidente Felix Tshisekedi e consigliando un atteggiamento mite anche ai ribelli dell’M23, che hanno conquistato (e ancora non sgombrano) Goma a Bukawu.

Ma ora per Kigali e Kagame i Mondiali sono anche la prova del nove per le ambizioni sul turismo. Non sono solo una competizione sportiva, ma un vero e proprio palcoscenico geopolitico e culturale. Il Ruanda, con la sua storia complessa e il suo presente ambizioso, si sta mostrando al mondo in tutta la sua contraddizione: modernità e autoritarismo, bellezza paesaggistica e tensioni regionali, promozione turistica e propaganda politica.

Mondiali di Ciclismo: una prima volta storica per l’Africa

Questa edizione è la prima nella storia a svolgersi in Africa, e Kigali è stata scelta come simbolo di un continente che vuole affermarsi anche nello sport globale. Le strade sono state riasfaltate, le tribune pronte per migliaia di spettatori, e il circuito è considerato tra i più impegnativi di sempre, con salite come la “Kigali Wall” e un dislivello complessivo di 5500 metri.

Sponsor Arsenal e PSG

Il Ruanda sta investendo pesantemente nello sport come strumento di promozione. La campagna “Visit Rwanda” è visibile sulle maglie di club come Arsenal e PSG, e ora anche il ciclismo diventa veicolo di immagine. Il messaggio è chiaro: il Ruanda vuole essere visto come un paese moderno, sicuro, e pronto ad accogliere il mondo.

Ma il rovescio della medaglia è evidente: il governo di Kagame è accusato di autoritarismo, repressione dell’opposizione, e uso dello sport come strumento di manipolazione. Il turismo cresce, ma non senza critiche. Le presenze sono aumentate negli anni, ma restano altalenanti, e il contesto politico e la crisi ciclica con il Congo pesano sulle percezioni internazionali.

Un modello possibile?

Questa settimana è così una sorta prova decisiva. Il mondo guarda Kigali non solo per le prestazioni di Pogacar, Evenepoel e Girmay, ma anche per capire se il Ruanda può davvero essere un modello africano di sviluppo. Il ciclismo diventa così una lente attraverso cui osservare un paese che corre veloce, ma non sempre in una direzione chiara.

I promettenti fondamentali del Paese

Il Ruanda è uno stato dell’Africa orientale, senza sbocco sul mare, situato nella regione dei Grandi Laghi. La sua posizione lo rende un crocevia tra l’Africa centrale e quella orientale, con un ruolo chiave nei traffici regionali e nelle dinamiche di sicurezza. Ha una popolazione di 13 milioni di abitanti che è prevalentemente cristiana.

L’etnia è principalmente Hutu (circa 85%) con i Tutsi a circa il 14%. La società ruandese è segnata dalla memoria del genocidio del 1994, che ha profondamente influenzato la politica, la cultura e le relazioni interetniche.

Il Pil è di circa 13 miliardi di dollari e negli ultimi anni la crescita è stata tra il 6% e l’8. Il Paese ha ancora una forte dipendenza dagli aiuti esterni, disuguaglianze sociali, vulnerabilità climatica e gli Usa rimangono il partner strategico per la sicurezza regionale.

Il Paese si vuole presentare al mondo come una “Singapore africana”: pulito, ordinato, digitalizzato. Ma sotto questa superficie si nasconde una tensione potente tra modernizzazione e controllo politico. I Mondiali di ciclismo a Kigali sono un esempio perfetto: una vetrina globale che mostra i successi, ma che espone anche le contraddizioni.