Tavolo East Africa con il Kenya al centro dei discorsi ‘tecnici’ in un nuovo appuntamento targato Vadoinafrica.com. Martino Ghielmi, fondatore e anima della community che crede che Africa e Italia (nonché Europa) possano essere naturali partner ‘win-win’, ha ‘apparecchiato’ un incontro virtuale partecipato e stimolante. ViA, vale la pena ricordarlo, “vuole favorire l’accesso ad informazioni accurate e relazioni di fiducia in Africa”.
L’idea di base e di fondo è quella che si sia arrivati ad un momento di svolta. E che le nostre aziende, specie le piccole e medie del nostro vasto tessuto industriale e commerciale, debbano valutare con fiducia l’approdo in alcune regioni ad alto potenziale strategico.
Focus Kenya
Del resto, come è quasi la regola nella nostra PMI, informalità, pragmatismo, qualità della interlocuzione ma anche della relazione umana sono al centro della filosofia di ViA.
Stavolta, dopo altri approfondimenti, Ghielmi ha messo in rete un bel pool di esperti ad approfondire la tematica Kenya, su quello cioè che è certamente un Paese chiave dell’Africa orientale. Noto alla comunità italiana come meta turistica, ma non solo. Porta e sponda utile – per le imprese- verso il Mar Rosso, gli emiri e perfino l’Asia.
“Un aspetto interessante, in questo quadrante orientale del continente – ha ricordato Ghielmi aprendo il dibattitto su Zoom – è una certa uniformità culturale tra Paesi il cui footprint, considerata la Repubblica Democratica del Congo, arriva alla fine fino all’Atlantico”.
La Comunità dell’Africa orientale (East African Community, EAC; in swahili Jumuiya ya Afrika Mashariki) è una comunità economica africana fondata nel 2000, che comprende appunto Kenya, Tanzania, Uganda, Burundi, Somalia, Ruanda, Sudan del Sud ed RDC. Introducendo l’appuntamento, Ghielmi ha sottolineato che “lo swahili è una sorta di minimo comun denominatore linguistico della vasta area, parlato come lingua principale in Tanzania ma con varie sfumature e differenze adottato in quasi tutti i Paesi dell’East e il Kenya”.
I fondamentali economici
L’Ambassador keniota di ViA, Michele Castegnaro, si è collegato alla community di ViA attivatasi sul tema dalla capitale Nairobi. E ha raccontato i fondamentali economici e politici del Paese. Ma altri approfondimenti sono arrivati anche dal nostro presidente e fondatore, Diego Masi, che oltre ad animare l’esperienza di Alice for Children è un profondo conoscitore di un continente in cui ha cominciato ad operare nel 2006. Poi è stata la volta di Daniel Kirui Njoroge, CEO AfroPack (agenzia che rappresenta aziende italiane del packaging).
E quindi sono stati anche Enzo Graziano, grande esperto di vendite in East Africa e non solo, e Danilo Frison (alla guida di una società di Tafuta, head hunter che ha fatto l’head quarter a Nairobi dopo averlo avuto per anni a Kampala), a fare da collettori di informazioni, insight, decodifiche meno ovvie del territorio.
Diego Masi ha raccontato soprattutto la sua esperienza in Kenya con Alice for Children, spiegando le peculiarità della filosofia ‘From Slum To Job’ dell’associazione.
Oltre quattromila bambini – tra quelli che vivono nei pressi della tremenda discarica di Dandora, ai margini di Nairobi, sono accompagnati e supportati economicamente e non solo e in qualche caso fino dall’asilo, nel proprio percorso di apprendimento e formazione scolastica.
Per portarli ad emanciparsi col lavoro dalla endemica situazione di indigenza del contesto, l’associazione spinge soprattutto (dopo avere introdotto questi insegnamenti durante il percorso scolastico ‘normale’ dei ragazzi) su due corsi di specializzazione, uno nella cucina italiana (di sei mesi) e l’altro nel digitale (di un anno). Oltre 150 ragazzi – ha raccontato Masi – dopo avere frequentato AIFA, la scuola di Alice for Children, ora lavorano nelle strutture di accoglienza e ristorazione della capitale e della costa.
Le ‘room’ tematiche
Tra le curiosità e le informazioni generate nelle ‘room’ tematiche del meeting virtuale, i contenuti di quella economica hanno avuto un interesse trasversale. Il Pil del Kenya in circa venti anni si è moltiplicato per 5, raggiungendo la ragguardevole quota 131,6 miliardi di dollari (su questo indicatore il Paese ha appena sorpassato l’Etiopia).
In questi due decenni c’è stata una crescita enorme, non solo del PIL, ma anche architettonica e urbanistica. La demografia è un aspetto critico, ma ancorchè molto favorevole per lo sviluppo del Kenya. A patto che sia garantita formazione e assistenza.
Oggi gli abitanti di Nairobi sono circa 3,8 milioni, con 50 milioni di abitanti in tutto il Paese. Il 50% della popolazione ha meno di diciotto anni.
La capitale si appresta ad ospitare tre sedi decentrate africane dell’Onu, con sviluppi che potrebbero portare ad un aumento del prezzo degli affitti ed un po’ di inflazione montante.
A Nairobi attorno al Centro cittadino, destinato ad uffici e servizi, sono sorte negli anni tante Torri residenziali, nel quadro di un tipo di sviluppo intensivo – verso l’alto- dell’offerta di abitazioni per le classi alte e medie e della popolazione.
Ad ogni livello delle torri corrisponde un diverso tipo di accessibilità economica al bene casa. Appannaggio, in realtà, di una fetta risicata della popolazione. E con gli slum periferici e l’economia informale che rappresentano la vita e la sfida quotidiana per una fetta largamente predominante dei kenioti che vivono nella capitale. Mentre rimane limitata l’offerta di edilizia popolare supportata da investimento pubblico. L’irrobustimento della nascente classe media è, cioè, ancora, una scommessa da vincere.
Import ed export
Nel 2023, quando il PIL era di 108 miliardi, il Kenya importava un quinto del suo prodotto interno lordo con una fetta di quasi il 20% della produzione collegato al fabbisogno energetico.
Tra i dati più contradditori, il Paese importa una quota imponente di fertilizzanti in un contesto in cui l’agricoltura rappresenta ancora il 30% dell’economia. Tra i paradossi, quello dei cereali. In un Paese profondamente agricolo – ha detto l’ambassador di ViA proponendo di i dati di OEC (l’Osservatorio per la complessità economica) – è massiccio l’import di mais e frumento, piuttosto che di soia, per alimentare sia gli animali che gli umani. La produzione industriale – con scorno del presidente William Ruto – rappresenta solo l’8% del PIL.
Da sottolineare il fatto che il dollaro si sia mantenuto negli ultimi anni, anche in periodi complicati per l’economia e la società del Kenya, sulla soglia dei 130 scellini per dollaro. Con la Banca Centrale del Kenya che ha evidentemente operato per contrastare un saldo altrimenti molto più negativo e calmierare il tasso di cambio, perché la maggior parte delle transazioni per le importazioni si fa in dollari.
Avocado, thè, caffè e pietre preziose
Il Kenya ha un saldo commerciale largamente sfavorevole. Nel 2023 aveva un export di 8 miliardi di dollari con un import stimato a 20 miliardi di dollari. Il 30% degli otto miliardi esportati è rappresentato da prodotti ‘freschi’ dell’agricoltura. Oltre al the e al caffè, la frutta tropicale rappresenta il 4,5% dell’export ed è indirizzata per l’80% al mercato extra africano, come del resto i prodotti farmaceutici. Oli vegetali, radici e tuberi circolano invece nella comunità east-africana. Altra voce interessante è quella che segnala al 5% l’export rappresentato da pietre preziose (rubini, topazi e oro) che si trovano soprattutto alla frontiera con l’Uganda.
Preziosi per pochi
Un versante del business poco comunicato e con tante licenze minerarie cedute ai cinesi e agli indiani e poche agli europei, dissuasi in genere dal quadro normativo labile.
In quali segmenti è utile operare? Il contesto non è fatto per gli italiani che, molto banalmente vogliono limitarsi a vendere e collocare anche lì i prodotti cult del nostro export. I dazi e le accise e poi l’Iva sono in molti casi altissimi, a protezione di interessi nazionali non solo nazionali molto ben difesi. E così è meglio muoversi con molta attenzione, guardando le tabelle di riferimento e lo scenario concorrenziale. Un esempio? Le piastrelle. Gli italiani sono bravi e molto forti in questo ambito, ma bisogna considerare in questo caso che Turchia, Cina e Spagna sono concorrenti già da tempo presenti e che hanno già insediamenti produttivi. Va considerato, per converso, che zero dazi ci sono per i fertilizzanti e per i farmaceutici.
Le prospettive
Le prospettive del Paese? La crescita dell’economia continua a essere sostenuta anche se inferiore, ad esempio, a quella di Etiopia e Tanzania, che nello stesso quadrante geografico raggiungono quasi la doppia cifra di incremento. L’inflazione in Kenya rimane sotto controllo, dopo i problemi del 2022. Il debito pubblico è oramai al 75% del PIL e non è destinato a calmierarsi nonostante i diktat dell’FMI.
Le regole draconiane delle organizzazioni internazionali hanno prodotto le politiche fiscali poi contestate dalle potenti manifestazioni di piazza – nel 2024 ma anche nel 2025 – che hanno fatto rientrare la maggior parte dei provvedimenti. La popolazione del Paese è, come detto, giovanissima, e alle prossime elezioni in agenda nel 2027 voteranno 7 milioni di neoelettori. Il presidente lo sa, e sa che se vuole essere rieletto non deve riproporre la politica fiscale iniqua che ha provato a fare passare quando l’appuntamento di verifica era più lontano.
Gli aspetti incoraggianti
Fin qui i limiti del contesto. Ma non bisogna dimenticare che il governo è più stabile che altrove nell’east Africa, l’economia più solida, e il Kenya appare così più abbordabile dei Paesi vicini.
Tra i settori di interesse su cui puntare – in generale – c’è certamente la trasformazione agricola e industriale, nonchè i servizi. C’è poca capacità e attitudine ad aggiungere valore al prodotto grezzo. La corruzione? E’ un tema ‘duro’ per chi deve relazionarsi con il pubblico, ma sul fronte delle attività Business to Business è meno rilevante.
Da non dimenticare poi, infine, che l’Italia – con il Piano Mattei – e l’Europa nel complesso con il Global Gatheway, abbiano chiaramente individuato nel Paese un area in cui investire per lo sviluppo.
La filosofia giusta? Portare valore aggiunto in questo Paese in maniera durevole e non in un’ottica di mordi e fuggi; puntare sulla creazione di valore in loco e, magari, costituire un presidio per potere poi vendere e fare affari anche nei Paesi limitrofi.