La decisione di Anglo American di mettere in vendita De Beers non è una semplice operazione industriale, ma una svolta che potrebbe ridisegnare il futuro economico di interi Paesi africani. Il colosso minerario, che detiene l’85% della storica società dei diamanti, ha scelto di dismettere asset considerati non strategici per concentrarsi su rame e minerali più redditizi.
Una scelta che arriva in un momento delicato: De Beers è in crisi, con ricavi dimezzati in appena due anni, scesi da sei miliardi di dollari nel 2022 a 2,7 miliardi nel 2024. La domanda globale è in calo e la concorrenza dei diamanti sintetici, sempre più popolari tra le nuove generazioni, sta erodendo quote di mercato.
Il prezzo dei diamanti naturali è crollato e il fascino delle pietre create in laboratorio, percepite come sostenibili e più accessibili, sta cambiando le regole del gioco.
De Beers, il diamante è un ‘pacco’ per il continente?
Chi si farà avanti per acquistare De Beers? Il Botswana, già socio al 15%, punta a una quota di controllo per rafforzare la propria sovranità economica e trattenere più valore nel Paese. Non è un dettaglio: i diamanti rappresentano circa un terzo delle entrate fiscali e l’80% delle esportazioni nazionali. Per Gaborone, perdere influenza su De Beers significherebbe mettere a rischio la principale fonte di ricchezza.

Ma sulla scena si affaccia anche l’Angola, nuovo grande player che ha superato il Botswana per valore di produzione e sogna di usare De Beers come leva per industrializzare localmente, creando filiere di taglio, lucidatura e marketing. Intanto si discute di consorzi pan-africani per evitare che il controllo finisca a investitori esterni, dai fondi privati ai giganti indiani e qatarioti, pronti a cogliere l’occasione.

Occasione storica
Per l’Africa questa potrebbe essere un’occasione storica. Per oltre un secolo il valore dei diamanti è stato estratto da multinazionali, con profitti che raramente restavano sul continente. Un’acquisizione africana significherebbe più controllo sulla filiera e la possibilità di sviluppare industrie locali, dal taglio alla gioielleria, fino al branding.
Fare industria
Botswana e Angola vogliono ridurre la dipendenza dall’estrazione pura e investire in settori collegati, creando occupazione qualificata e nuove competenze. Ma non mancano i rischi: le riserve valutarie del Botswana sono scese da 4,8 a 3,5 miliardi di dollari, rendendo difficile un’acquisizione totale senza partner esterni. E il mercato non aiuta: se la domanda di diamanti naturali continuerà a calare, chi compra rischia di ereditare un asset problematico. A complicare il quadro ci sono tensioni geopolitiche e critiche sulla trasparenza del processo di vendita, con il Botswana che lamenta scarsa consultazione da parte di Anglo American.
Un peso morto?
Se il controllo resterà in mani africane, la partita De Beers potrebbe spostare valore e potere economico sul continente. Ma senza capitali e strategia, il rischio è che la crisi del settore trasformi il colosso in un peso morto. Intanto la filiera dei diamanti africani si prepara a cambiare volto. Botswana e Angola immaginano un futuro in cui il taglio e la lucidatura avvengano in loco, con marchi “Made in Africa” capaci di raccontare autenticità e sostenibilità.
Alcuni Paesi guardano ai diamanti sintetici per intercettare i trend globali, mentre la tecnologia promette tracciabilità e certificazioni etiche grazie alla blockchain. Sul tavolo ci sono anche partnership con brand del lusso e accordi con India e Cina, ma questa volta con più potere contrattuale africano.

La sfida è enorme. Servono capitali, know-how e una visione capace di reinventare la filiera in un mercato che cambia rapidamente. Per decenni l’Africa è stata il cuore dell’estrazione, ma non della trasformazione. Oggi la prospettiva è diversa: creare valore aggiunto sul territorio, sviluppare competenze locali e costruire un ecosistema che vada oltre la semplice vendita di pietre grezze. È un percorso che richiede tempo e investimenti, ma che potrebbe segnare la fine di una dipendenza storica.
L’inizio di una nuova storia
Se Botswana e Angola riusciranno a guidare questa transizione, la vendita di De Beers non sarà la fine di un’era, ma l’inizio di una nuova storia, in cui il continente africano non sarà più solo il fornitore di materie prime, ma protagonista di una filiera globale del lusso.
Il futuro dei diamanti, però, non si gioca solo sul terreno africano. La crescente popolarità dei diamanti sintetici impone una riflessione strategica. Alcuni analisti prevedono che entro dieci anni la quota di mercato dei “lab-grown” supererà quella dei diamanti naturali, soprattutto tra i consumatori più giovani e sensibili ai temi ambientali. Per l’Africa, ignorare questa tendenza sarebbe un errore.
Pensare anche al sintetico
Investire in tecnologie di produzione sintetica, affiancando la tradizione all’innovazione, potrebbe essere la chiave per restare competitivi. Allo stesso tempo, la tracciabilità e la certificazione etica diventano fattori cruciali: blockchain e sistemi digitali possono garantire trasparenza e combattere il mercato nero, rafforzando la reputazione dei diamanti africani.
La partita è aperta e il tempo stringe. Anglo American vuole chiudere la vendita entro pochi mesi, e le trattative si annunciano serrate. Sullo sfondo, il destino di De Beers si intreccia con quello di intere economie nazionali e con la capacità dell’Africa di trasformare una risorsa naturale in un motore di sviluppo sostenibile. Se il continente saprà cogliere questa opportunità, il diamante non sarà più solo simbolo di lusso, ma di emancipazione economica.