Dagalo contro Al Burhan, siamo ad una possibile svolta. Il Sudan è nel terzo anno di una guerra civile brutale tra SAF (Sudanese Armed Forces), l’esercito regolare, guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, ex capo del governo di transizione, e l’RSF (Rapid Support Forces), milizia paramilitare, guidata da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, evoluzione dei famigerati Janjaweed del genocidio del Darfur.

Le cronache di guerra raccontano che le RSF hanno conquistato El-Fasher, ultima roccaforte dell’esercito ‘regolare’ nel Darfur settentrionale, dopo 18 mesi di assedio. Sono state denunciate esecuzioni di massa, stupri su base etnica e crimini di guerra contro civili non arabi. L’esercito ha perso terreno nel Darfur, ma mantiene il controllo di Khartoum, Sennar, Gezira e parte del Kordofan.

Chi sta vincendo?
RSF ha ottenuto vittorie territoriali significative nel Darfur e nel Kordofan, consolidando il controllo su aree ricche di risorse minerarie. SAF ha per converso riconquistato Khartoum e alcune città strategiche nel centro-sud del paese, ma ha perso il controllo del Darfur.
Il paese è di fatto diviso in due blocchi, con due governi paralleli e una crescente frammentazione che potrebbe cronicizzarsi. Il quadro degli attori internazionali e regionali coinvolti nel conflitto è molto articolato. Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sostengono le RSF, interessati alle miniere d’oro e alla costruzione di infrastrutture strategiche.
Dall’altro lato della barricata, Egitto e Arabia Saudita appoggiano l’esercito regolare (SAF), per motivi di sicurezza regionale e stabilità politica.
Se si allarga la prospettiva, si registra come la Russia, inizialmente vicina alle RSF tramite il gruppo Wagner, ora sembra aver stretto accordi con al-Burhan per una base navale a Port Sudan.
L’Iran ha fornito droni da combattimento all’esercito sudanese ma ora la situazione nel Paese è complessa ed in transizione. USA e UE tentano mediazioni diplomatiche, ma con scarsi risultati e gli USA, dal canto loro, hanno sanzionato entrambe le fazioni.

In chiave regionale, il Sudan è strategico per l’accesso al Mar Rosso, tra il Canale di Suez e Bab el-Mandeb. La guerra ha destabilizzato il Sud Sudan, il Ciad e l’Etiopia, già fragili. Il conflitto si inserisce in una riconfigurazione dell’Africa orientale e del Sahel, dove Russia e Cina aumentano l’influenza la Francia è in ritirata, blocchi regionali come l’Alleanza degli Stati del Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso) si oppongono all’ECOWAS e all’influenza occidentale.

Nei prossimi mesi si potrebbe assistere alla divisione de facto del Sudan in due entità: una sotto SAF (nord-est), l’altra sotto RSF (Darfur e Kordofan). Uno sviluppo non senza conseguenze.
Il primo rischio è quello di una ulteriore escalation etnica e rischio di genocidio, soprattutto nel Darfur. In atto c’è una crisi umanitaria senza precedenti che potrebbe aggravarsi: oltre 30 milioni di persone hanno bisogno di aiuti, 10 milioni di sfollati, carestia diffusa.
Il Sudan è oggi l’epicentro della più grave crisi umanitaria al mondo, ma anche un nodo geopolitico cruciale per il futuro dell’Africa orientale. La guerra non è solo una lotta interna per il potere, ma un conflitto internazionale mascherato, dove oro, porti, alleanze e risorse sono in palio.

Le Nazioni Unite hanno espresso profonda preoccupazione per le segnalazioni di atrocità commesse dai paramilitari contro le comunità locali non arabe, in particolare Fur, Zaghawa e Masalit. Si registrano denunce di violenze e stupri su base etnica, in una regione già segnata da massacri e genocidi tra il 2003 e il 2009, che causarono la morte di oltre 600.000 persone. La situazione è ulteriormente complicata da un blackout delle telecomunicazioni e dall’interruzione della connessione internet satellitare, che ostacolano l’accesso a informazioni indipendenti.

Difficile negoziare
La guerra civile sudanese è diventata una sorta di guerra per procura, con attori regionali che competono per le risorse del Paese. L’Egitto e altri Stati confinanti sostengono Al-Burhan, mentre gli Emirati Arabi Uniti e il Ciad appoggiano Hemedti. Questo intreccio di influenze esterne ha reso impossibile costringere le parti in conflitto a negoziare.