Il calo delle nascite è ormai una emergenza. L’inverno demografico italiano è una delle sfide più serie che il Paese sta affrontando. E l’immigrazione è sempre più vista come una delle possibili risposte, anche se non priva di complessità. Di qui a pochi decenni il Paese perderà una fetta consistente di abitanti e, soprattutto, vedrà ridursi in maniera molto preoccupante il numero delle persone in età lavorativa. Per lo meno si ridurrà l’apporto di quella fascia multigenerazionale che corrisponde attualmente alle persone tra i 18 ed i 67 anni, che costituiscono la forza lavoro di base del nostro sistema Paese.
Poche nascite e saldo demografico negativo, le conseguenze
Secondo i numeri dell’OCSE, ripresi servizi de Il Sole 24 Ore e di SkyTg24, entro il 2060 l’Italia perderà circa 12 milioni di lavoratori attivi, con una riduzione del 34% della popolazione in età lavorativa (20-64 anni), ben oltre la media OCSE dell’8%.
Le conseguenze – senza alcun intervento correttivo o compensativo – potrebbero essere serissime per la nostra economia in generale, la ricchezza del Paese e per il nostro welfare in particolare.
L’OCSE proietta un calo del PIL pro capite del 22%, nel quadro di un calo di 5 punti del rapporto tra numero di occupati e popolazione complessiva, con il sistema pensionistico e quello sanitario inevitabilmente sotto stress.

Le soluzioni del Cnel
Il Cnel (l’’acronimo sta per Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) sta lavorando ad un programma organico che mira, tra le altre cose, ad annullare il divario occupazionale di genere. Nel nostro Paese, c’è un percentuale di donne che non lavorano tra i più alti della UE. che supera i 17 punti percentuali, tra i più alti dell’Ue. Il tasso di permanenza nell’inattività delle donne è 4 punti superiore a quello degli uomini. Anche su questo fronte può essere decisiva la formazione: solo il 20% delle ragazze sceglie corsi Stem, contro il 40% dei ragazzi.
Il prolungamento dell’età lavorativa? L’occupazione degli italiani di età compresa tra i 60 e i 64 anni è attualmente molto inferiore alla media Ocse, anche se negli ultimi vent’anni i tassi di occupazione dei lavoratori in età avanzata in Italia sono aumentati di 31,8 punti percentuali per le persone di età compresa tra i 55 e i 59 anni (rispetto a un aumento di 13,7 punti percentuali dell’Ocse) e di 25,7 punti percentuali per le persone tra i 60 e i 64 anni (20,1 i punti percentuali dell’Ocse). I problemi citati sono ancora più critici per il Mezzogiorno d’Italia.
E poi è importante anche essere capaci di mantenere i talenti formati e attrarne di nuovi, con politiche per migliorare i redditi reali dei gruppi più giovani.

Il ruolo dell’immigrazione
Il governo italiano ha approvato un nuovo decreto flussi che prevede l’ingresso di quasi 500.000 lavoratori stranieri tra il 2026 e il 2028, circa 50.000 in più rispetto al triennio precedente. Un’apertura programmata tesa a compensare la carenza di manodopera lamentata oramai sempre più palesemente e senza imbarazzi politici dalle organizzazioni del mondo delle imprese. Senza questa iniezione di risorse umane provenienti da fuori dei nostri confini risulta già complicatissimo riuscire a sostenere la crescita economica. L’idea di fondo, così, è quella di ridurre l’immigrazione irregolare favorendo canali legali.
Ma indubbiamente pesano alcune criticità. Al primo punto c’è la povertà estrema tra gli immigrati: il 30% delle famiglie con stranieri è in povertà assoluta.

La realtà attuale racconta di occupazioni precarie o temporanee – con l’agricoltura come settore esemplare di questa problematicità – con molti addetti che lavorano in nero o in settori a basso valore aggiunto. Mentre invece al nord il nostro sistema di PMI richiede lavoratori specializzati per le manifatture e, in tutta la penisola, è sostenuta anche la domanda delle varie professioni del settore turistico. Il problema della manodopera carente e della demografia preoccupante quindi si salda strettamente a quello della valorizzazione della base produttiva reale e attuale.
L’Italia ha ancora un tasso di occupazione molto inferiore rispetto ad altri Paesi europei, anche tra i nativi. In questo contesto peculiare, l’OCSE suggerisce di valorizzare i giovani e le donne italiane, oggi spesso inattivi. Secondo punto critico e politico, il suggerimento di allungare la vita lavorativa degli over 60. Mentre appare più facile da attuare l’idea di ridurre il divario di genere presente ancora nel nostro Paese nel mondo del lavoro.
Investire in formazione
Trasversale sia alla nuova politica legata all’immigrazione sia alle altre misure indicate dall’Ocse, la necessità di investire in formazione e produttività.
L’immigrazione è necessaria ma non sufficiente. Serve una strategia integrata che combini inclusione, formazione, politiche attive del lavoro e riforme strutturali. Ma anche un alto livello di cooperazione con i Paesi di provenienza degli immigrati.