È iniziata il 10 novembre a Belém, in Brasile, la COP30, tra qualche problema organizzativo, la trentesima Conferenza delle Parti sul clima, che proseguirà fino al 21 novembre.
L’appuntamento è cruciale non solo per il simbolismo del luogo, alle porte della foresta amazzonica, ma per il contesto drammatico in cui si svolge. Secondo l’ONU e il servizio Copernicus, il mondo è oggi più caldo che mai: gli ultimi tre anni sono stati tra i più caldi mai registrati e la soglia di +1,5 °C è stata superata negli ultimi dodici mesi. Gli scenari indicano un aumento medio tra +2,3 e +2,5 °C entro fine secolo se non si interviene subito. Il segretario generale Antonio Guterres ha parlato di fallimento morale e di una finestra di opportunità che si sta chiudendo.

La conferenza riunisce 197 Paesi e l’Unione Europea, ma registra assenze pesanti: non ci sono i leader di Stati Uniti, Cina, Russia e India. La presidenza brasiliana ha fissato un’agenda ambiziosa che spazia dalla transizione energetica, industriale e dei trasporti alla gestione sostenibile di foreste, oceani e biodiversità, dalla trasformazione dell’agricoltura e dei sistemi alimentari al rafforzamento della resilienza di città, infrastrutture e risorse idriche, fino alla promozione dello sviluppo umano e sociale e all’attivazione di fattori abilitanti in ambito finanziario, tecnologico e di capacity building.

COP 30 e realismo
Il dibattito sembra essersi spostato dal “quanto” al “come”: come finanziare la decarbonizzazione, come rendere credibile l’impegno net-zero e come trasformare l’urgenza climatica in opportunità di investimento e innovazione.
La sfida è duplice: rilanciare la cooperazione internazionale in un contesto geopolitico frammentato e tradurre in azioni concrete gli impegni presi nelle precedenti conferenze, evitando che restino promesse astratte.
Nel discorso inaugurale, il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha ribadito che l’Amazzonia non è un museo, ma nemmeno un supermercato, sottolineando la necessità di conciliare sviluppo e conservazione.

Il baricentro africano
Tra le iniziative della prima giornata spicca il lancio del Tropical Forests Forever Fund, un fondo globale da 125 miliardi di dollari per la tutela delle foreste tropicali. E poi la Giornata dell’Africa, dedicata a triplicare i finanziamenti per l’adattamento del continente, da 14 a oltre 70 miliardi di dollari l’anno.

L’Africa è al centro della COP30 per ragioni evidenti. Il continente contribuisce a meno del quattro per cento delle emissioni globali, ma ospita nove dei Paesi più vulnerabili al clima. Eventi estremi come siccità, cicloni e inondazioni costano fino al cinque per cento del PIL africano ogni anno e potrebbero esporre 118 milioni di persone a rischi climatici entro il 2030. Eppure l’Africa possiede il trenta per cento dei minerali critici per la transizione verde, enormi risorse rinnovabili e la popolazione più giovane del mondo. Non è più un attore marginale, ma un driver di soluzioni globali. Le priorità africane sono chiare: ottenere finanza climatica equa e su larga scala, perché oggi riceve solo il tre per cento dei flussi globali nonostante perdite tra il sette e il quindici per cento del PIL dovute agli impatti climatici. La richiesta chiave è triplicare i fondi per l’adattamento entro il 2030, oltre la promessa di Glasgow di raddoppio. Attualmente arrivano 14,8 miliardi di dollari l’anno, contro un fabbisogno stimato di 70 miliardi. Il continente chiede finanziamenti non basati sul debito, governance trasparente e erogazione rapida attraverso tesorerie nazionali per il Fondo Perdite e Danni.

La seconda giornata
La seconda giornata della COP30 è dedicata a passare dalle dichiarazioni alle azioni concrete. Al centro dei lavori c’è il Global Goal on Adaptation, con l’obiettivo di definire indicatori chiari per misurare la resilienza dei Paesi di fronte agli impatti climatici. Si discute di investimenti in infrastrutture idriche, protezione delle coste e sicurezza alimentare, soprattutto per le nazioni più vulnerabili.
Un altro tema chiave è la finanza climatica: i negoziati si concentrano sul nuovo obiettivo collettivo di mobilitare 1.300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035, affrontando il problema dei ritardi nell’erogazione dei fondi e garantendo accesso diretto ai Paesi in via di sviluppo.
Proseguono i negoziati sul Tropical Forests Forever Fund e sulla governance per la protezione delle foreste, mentre eventi tematici mettono in evidenza il ruolo delle popolazioni indigene e delle conoscenze tradizionali. Infine, vengono presentati aggiornamenti sugli NDC, ma emergono lacune significative: solo il 30% delle emissioni globali è coperto da nuovi impegni.