Migrazioni: le persone formate motore della transizione green

La Fondazione MAIRE ETS ha presentato la ricerca “TRAIETTORIE – Flussi migratori, competenze e transizione energetica”. Emerge, in estrema sintesi, da otto studi finanziati e correlati, che il mondo in transizione energetica ha bisogno di persone formate. Migranti e rifugiati possono rappresentare uno dei bacini di riferimento.

Lo studio è stato presentato a Roma, presso la Camera di Commercio nella Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano, con un focus su “trend e best practice di formazione e inclusione lavorativa”.

Migranti e green jobs

Nel 2023 oltre il 20% degli occupati nei green jobs in Italia era costituito da lavoratori stranieri. Tuttavia, persiste una forte segmentazione del mercato del lavoro: gli italiani tendono a ricoprire le posizioni più specializzate, mentre gli occupati extra-UE sono prevalentemente impiegati in mansioni di base.

Le previsioni indicano che il raggiungimento della neutralità climatica in Europa entro il 2050 potrebbe generare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre a livello globale le politiche di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici potrebbero creare circa 8 milioni di opportunità occupazionali entro il 2030.

In Italia mancano lavoratori competenti

In Italia, tuttavia, si registra oggi un deficit di oltre 800mila lavoratori qualificati nel settore green. Di fronte a questo scenario, la ricerca sottolinea la necessità di promuovere percorsi di formazione e inclusione lavorativa anche per la popolazione migrante, riducendo i tempi di riconoscimento delle competenze, attivando programmi di up- e re-skilling.

Il progetto esamina il nesso tra migrazioni, competenze e transizione energetica, con l’obiettivo di comprendere come i lavoratori migranti possano contribuire alla transizione verde. Nel contempo si identificano barriere e opportunità per la inclusione lavorativa di questi flussi e si estraggono modelli replicabili di formazione e inserimento.

Focus

I concetti principali? La transizione verde richiede nuove competenze tecniche e trasversali e le imprese faticano a trovare profili adeguati, soprattutto nei settori green. Non sembri paradossale che i migranti rappresentino una risorsa potenziale decisiva per colmare questo gap. Affinchè questo accada, però, vanno abbattute le barriere all’inclusione lavorativa.

Lo studio le identifica e le elenca: in primo luogo gli ostacoli linguistici, culturali e normativi; c’è poi molto spesso il mancato riconoscimento delle qualifiche. In generale, poi, l’offerta formativa è spesso generica e scollegata dal mercato del lavoro e sopravvivono discriminazioni di genere e stereotipi culturali.

Lo studio estrapola modelli di successo negli Usa, in UK, Paesi Bassi. E indica nell’agrivoltaico un settore emergente per l’inclusione. Il modello migliore? I distretti circolari green e inclusivi (ICGI).

La migrazione e la transizione energetica non sono due crisi, ma due opportunità. Serve però un approccio integrato: formazione, riconoscimento delle competenze, inclusione sociale. Le organizzazioni del Terzo Settore possono essere cruciali per colmare il divario tra politiche pubbliche e bisogni reali. Il modello ICGI può guidare lo sviluppo di distretti sostenibili e inclusivi.

Gli studi sono stati condotti da Cecilia Fortunato, Antonio Umberto Mosetti, Luigi Campaniello, Carla Ventre e Angelique Witjes, sotto il coordinamento del Prof. Andrea Billi, e da tre organizzazioni partner: Talent Beyond Boundaries, NeXt – Nuova Economia per Tutti e Fondazione AVSI-ETS.

 

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