Il nemico degli Usa è la Cina? O non sono piuttosto pericolosi per il destino dell’‘impero’ americano il suo disagio interno, identitario, e la soluzione brusca e drammatica indentificata dall’amministrazione per sciogliere il nodo gordiano?
Le contraddizioni che emergono riguardano la maniera d’intendere la democrazia, l’equilibrio tra le sue componenti etniche del Paese, e anche qualche problema legato anche alla tenuta ‘psicologica’ oltre che economica e sociale del Paese.
Nell’ultimo intervento sul canale Yuotube Eurafrica, Diego Masi prova a rispondere ad alcune di queste domande. Lasciando però aperto l’interrogativo principale: gli Stati Uniti sono diretti verso una nuova secessione o verso una monarchia presidenziale?
Trump ed il disegno monarchico per gli Usa
Il video ultimo pubblicato prova a fare un’analisi della crisi istituzionale americana e del disegno politico di Donald Trump.
Parla delle proteste che si sono accese in oltre 2.600 città americane. La marcia “No Kings”, pacifica ma imponente, ha portato in strada milioni di cittadini contrari a quella che molti vedono come una deriva autoritaria dell’amministrazione Trump. Gli organizzatori parlano di una mobilitazione senza precedenti, alimentata dalle recenti mosse del Presidente: dal blocco del governo (shutdown) alle pressioni esercitate sul Dipartimento di Giustizia per colpire gli avversari politici.
La risposta di Trump non si è fatta attendere. In un video diffuso sui social, l’ex presidente ha scelto la via dello scontro, ridicolizzando i manifestanti. Ma dietro la provocazione si cela un disegno politico più profondo — e potenzialmente pericoloso.
Il progetto Project 2025
Il video racconta come fonti interne all’amministrazione parlino di una serie di decreti esecutivi ispirati al piano Project 2025 del think tank conservatore Heritage Foundation. L’idea sarebbe quella di una riorganizzazione radicale dello Stato federale, volta a concentrare poteri senza precedenti nelle mani dell’esecutivo. Ne ha parlato, dopo Masi, l’ultima puntata – la prima stagionale – di Report sulla terza rete.
Intorno a Trump agiscono figure chiave come Stephen Miller, architetto delle politiche migratorie più dure, mentre nelle principali città – Chicago, Los Angeles, Portland – si registra una crescente presenza di reparti militari federali. Al Pentagono, alcuni generali come Pete Hegseth sarebbero pronti a “prepararsi alla guerra”, mentre i media vengono progressivamente esclusi dalle sedi istituzionali e la magistratura viene messa sotto pressione.

Un altro elemento nuovo è la spinta ideologica promossa da esponenti come Charlie Kirk, che punta a fondere identità nazionale e religione in un progetto di “nazione di Dio”. È la cristianizzazione del radicalismo politico: un discorso messianico che trasforma l’America in una missione morale più che in una democrazia costituzionale.
Quindi ribellione e secessione?
Davanti a questa deriva, alcune aree del Paese cominciano a opporre resistenza. Gli stati dell’Ovest — California, Oregon, Illinois, New York — fanno muro contro Washington, alzando la voce su sanità pubblica, diritti civili e ambiente. La tensione ricorda, a tratti, quella della Guerra di Secessione del 1861-1865: allora furono gli stati del Sud a staccarsi dall’Unione, oggi è l’Ovest progressista a minacciare di isolarsi da un potere federale percepito come illiberale.
Oggi il 77% degli americani non crede più nel “sogno americano”. La depressione, la crisi da fentanyl, la disuguaglianza e l’inflazione crescente disegnano un Paese stanco, diviso e senza fiducia nel futuro.
Rimane intatta solo la potenza tecnologica: le grandi aziende del tech valgono quasi 16 trilioni di dollari, ma la loro autonomia le rende più simili a imperi paralleli che a pilastri della democrazia.
Arabia Saudita, Groenlandia e poco altro
Trump guarda sempre meno all’estero: poco interesse per l’Ucraina, rapporti personali con l’Arabia Saudita, disinteresse per la diplomazia multilaterale. La sua visione è isolazionista: chiudere gli Stati Uniti dentro una fortezza continentale, dominare l’Artico e i mari, e “sistemare il giardino di casa” — l’America Latina — come area d’influenza.
L’obiettivo finale? Costruire una torre inespugnabile, un’America autosufficiente, monolitica, forse persino monarchica.
Strumenti come l’Insurrection Act, che autorizza l’uso dei militari sul suolo nazionale, o l’abolizione del divieto di terzo mandato, lasciano intendere un disegno di potere che va oltre la democrazia rappresentativa. Dall’altra parte, i movimenti civici come No Kings rappresentano la speranza di un ritorno alla normalità repubblicana.