Allarme dazi by Donald Trump in Africa e, più in particolare, anche in Kenya. La lettera inviata all’Europa conferma il +30% che, a meno di sblocco delle trattative o singoli casi speciali – i Paesi del vecchio continente dovranno pagare per esportare i propri prodotti negli States.
Molto più articolata la situazione del continente africano dove il Kenya, alla fine, è uno dei Paesi su cui l’amministrazione americana non ha usato la mano pesante. Ma gli effetti per l’economia del Paese potrebbero comunque essere molto pesanti.
Dazi Kenya da 100 milioni
Gli osservatori economici di Nairobi calcolano che le esportazioni del Kenya – che non ha raggiunto un accordo nella finestra di sospensione dei novanta giorni – potrebbero generare 13 miliardi di scellini circa in meno (100 milioni di dollari) con i dazi di Trump attivi. Il nuovo corso dovrebbe partire ad agosto, ma le implicazioni produttive e organizzative sono ovviamente già state innescate.
Il Segretario di Gabinetto degli Esteri del Kenya, Musalia Mudavadi, ha parlato di trattative tese e intense ma senza risultati. Di recente, è stato lo stesso Trump sulla sua piattaforma Truth Social, ha sottolineare che non sarebbero stati ammessi ritardi, e che “non saranno concesse proroghe”.
Trump non fa eccezioni alla regola neanche per i Paesi più poveri, proprio quelli che dipendono maggiormente dal commercio, considerandoli come dei veri antagonisti.
Africa e Agoa
Emblematico è il caso del piccolo Lesotho, quasi interamente dipendente dalle esportazioni di prodotti tessili, che ha ricevuto un dazio del 50 per cento, il più alto di tutta l’Africa. Per il Madagascar, la percentuale è stata fissata al 47 per cento e, poi, in ordine di valore decrescente sono sintomatiche anche le situazioni di Isole Mauritius (40%), Angola (32 per cento), Sud Africa (30 per cento), Costa d’Avorio (21 per cento), Nigeria (14%).
Il Kenya subisce la tariffa minima del 10 per cento. Ma in discussione entra il futuro dell’African Growth and Opportunity Act (Agoa), l’accordo firmato nel 2000 che consente ad alcuni prodotti africani di beneficiare di un accesso di favore al mercato statunitense e in scadenza nel prossimo settembre.
Focus sul tessile
Questo accordo è stato fondamentale per lo sviluppo del settore tessile in Kenya, in particolare per aziende come United Aryan, che produce jeans per marchi come Wrangler e Levi’s. La fabbrica United Aryan, situata vicino a Nairobi, impiega circa 10.000 persone e sostiene indirettamente fino a 150.000 individui. Ogni anno esporta fino a 8 milioni di paia di jeans e milioni di camicie verso gli USA. Il salario medio di un operaio è di circa 190 euro al mese, una cifra che rappresenta una fonte di sostentamento cruciale per molte famiglie.
Non v’è dubbio che i prossimi mesi saranno decisivi per il futuro delle relazioni economiche tra l’Africa e gli Stati Uniti. Anche perché, se da una parte è vero che dal punto di vista commerciale la Cina ha superato da tempo gli Usa come principale partner in gran parte del continente africano, dall’altra occorre tenere presente che la finanza a stelle e strisce continua a giocare un ruolo fondamentale per la sostenibilità del debito pubblico, soprattutto dell’Africa subsahariana.