Il digital fundraising e il grande rischio demografico del giving

Sono tanti gli spunti e le informazioni contenute nell’edizione 2025 del Digital Fundraising Report di Delve. Le indicazioni più ‘macro’ sono quelle inerenti – nel contesto di un ritrarsi non solo ‘trumpiano’ dell’aiuto pubblico – una maggiore dipendenza dai donatori privati. Con tutto quello che ne consegue in termini di strategie di dialogo e di marketing collegate.

Digital Fundraising 2025, occhio al defunding

Da una parte, negli Usa, c’è il DOGE che stronca la spesa dell’amministrazione federale e mira a ridurre gli oltre 500 miliardi di dollari annuali non autorizzati dal Congresso o utilizzati in modi che il Congresso non ha previsto.

Per converso, i dati del Secondo il Rapporto di Prospettiva 2024 e 2025 della Lilly Family School of Philanthropy, prevedono che in Usa le donazioni individuali cresceranno del 3,4% nel 2025.

Il combinato disposto di questi due fenomeni sta portando le organizzazioni benefiche a far raddoppiare le donazioni individuali. Nel 2024, le organizzazioni mission-driven hanno ricevuto 557 miliardi di dollari in donazioni. I singoli individui rappresentano la quota maggiore di tutte le donazioni, con 374 miliardi di dollari donati, pari al 67% del totale.

Cambio di paradigma

Da ridiscutere e riformare, dunque, c’è un modello che, su questo secondo versante – donazioni individuali – è ovviamente ancora tarato su un target preferenzialmente e fisiologicamente costituito da boomer.

E quindi bisogna ripensarsi nell’ottica di relazionarsi – con il linguaggio ed i mezzi giusti – con Millennials e GenZ. Questa tipologia di donatori s’ingaggia e si convince in una maniera diversa.  Le nuove generazioni – non inclini a seguire e non colpite se non saltuariamente dai mass media tradizionali – considerano soprattutto i media one to one e ‘pretendono’ messaggi personalizzati, legati ad un nuovo sistema simbolico e valoriale. Il loro.

Algoritmi e dati di prima parte

Per raggiungerli – ma questo vale più negli Usa e nei Paesi anglosassoni più che in Italia – bisogna passare per canali (social media, ma podcast e OTT dell’audiovisivo) e media ‘algorizzati’ che profilano il ‘bersaglio’.

Ma si tratta di opzioni media che fanno parte di un panorama molto frammentato e costano tendenzialmente di più. Richiedono, in primo luogo, campagne costruite più tecnicamente, con una creatività all’altezza delle attese dei target emergenti. I nuovi potenziali grandi donatori desiderano vedere contenuti creativi non elaborati, grezzi e autentici, ma i costi creativi sono elevati e una personalizzazione su larga scala basata sul pubblico richiede una gestione unificata non banale delle informazioni. E che suppone pure, magari, il poter contare su dati di prima parte (della onlus) ben raccolti e costruiti.

Eiffel effect

Ma un aspetto centrale che emerge dal report, è quello collegato al cambio degli equilibri demografici. Decisamente più incisivo, tra le altre cose, qui da noi e nella vecchia Europa, piuttosto che negli Usa. C’è cioè il rischio di quello che viene definito come un collasso della “Giving Pyramid” per invecchiamento dei donatori. In questo contesto la necessità di convincere giovani donatori diventa più stringente e obbligatoria. Ma il contesto, per tutte le cause e i progetti in campo alla ricerca di sostegno, diventa inevitabilmente sempre più sfidante. I donatori Boomer esistenti stanno invecchiando. Ai Boomer rimanenti (in particolare i livelli Mid e Major) viene chiesto di donare di più per mantenere i ricavi.  Un numero inferiore di donatori della Generazione Z e dei Millennial aderisce alle cause. E così la Piramide del Donatore inizia ad assomigliare a una Torre Eiffel che si rimpicciolisce. Le organizzazioni benefiche devono coltivare i donatori alla base della piramide delle donazioni, poiché i donatori di livello più alto sono spinti ad aumentare le donazioni ma soggetti ad invecchiare

Tutti i Reports

baby

Data Portal

Ricerche e report sul mondo della filantropia.

Analisi e prospettive sull’Africa.